I cento linguaggi del digitale nel Reggio Emilia Approach

di

Maddalena Tedeschi, Elena Maccaferri, Annalisa Rabotti,
pedagogiste, Scuole e Nidi d’infanzia –Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

1. I bambini negli ambienti digitali

I nidi e le scuole dell’infanzia comunali di Reggio Emilia sono connotati da sempre dal desiderio di mantenere una vitalità, una tensione, una vibrazione di ricerca tesa a creare prossimità tra i bambini e le bambine, i genitori, gli educatori e i contesti di gioco, di vita e di apprendimento proposti.

L’auspicio è generare dimensioni di vicinanza tra le culture fluide e dinamiche dei protagonisti che quotidianamente abitano i servizi, bambini e adulti, e i loro luoghi di vita.

Oggi la scuola, nei suoi diversi segmenti, non può non prendere in considerazione il digitale, sia per l’uso delle strumentazioni, sia per la predisposizione del pensiero che esso attiva. Ora, si tratta di scegliere come accogliere la portata culturale di tale intensità e pervasività che le tecnologie digitali stanno configurando.

La scelta che abbiamo realizzato nei nidi e nelle scuole dell’infanzia comunali di Reggio Emilia è stata storicamente quella di interpretare progressivamente la natura del digitale, per l’innovazione che propone in relazione alle potenzialità dei bambini, alle loro intelligenze e, al contempo, a una visione di apprendimento come processo dinamico.

L’intenzione è stata quella di tendere a non tradire né i bambini, né le tecnologie.

Il professor Loris Malaguzzi affermava, nel 1984, in relazione alla scelta strategica di sperimentare il computer nelle scuole dell’infanzia:

 

“L’incontro fra i bambini e il computer è, in effetti, l’incontro di due intelligenze che chiedono di conoscersi: quella dei bambini più fluida, intuitiva, curiosa e tuttavia capace di decentrarsi e assimilare nuove regole interattive, di aggiustare le prestazioni, di trovare e alternare proposte e soluzioni comunicative e costruttive; quella della macchina più lineare, rigida, programmata, per molti aspetti impositiva e per altri ricettiva e disponibile all’esecuzione, capace di ascoltare i bambini e di invitarli (senza umiliarli) a ripensare alle loro operazioni, di indicare le vie d’uscita dei problemi, di suggerire come arrivare ad una congiunzione degli sforzi”.

Loris Malaguzzi in Malaguzzi L. et al., I cento linguaggi dei bambini, catalogo della mostra, Reggio Children, Reggio Emilia, 1996, p.101.

 

Negli anni Ottanta nella nostra esperienza educativa le tecnologie digitali – computer, stampante, tartaruga robot da pavimento (un piccolo robot a forma di tartaruga creato negli anni Sessanta in grado di muoversi su una superficie piana tramite comandi trasmessi in linguaggio Logo per mezzo di una tastiera) – si sono inscritte nelle progettazioni quotidiane, collocandosi in dialogo con gli altri linguaggi, prendendo posto nelle sezioni, offrendosi alla sperimentazione dei bambini in piccoli gruppi.

Questa scelta, visionaria per quel periodo, ha determinato la cornice di significato all’interno della quale si è creata una concettualizzazione degli strumenti digitali all’interno di una dinamica interattiva, che ha sempre tenuto i bambini in una relazione attiva; successivamente, questa prima visione ha dato vita allo spostamento dall’idea degli strumenti digitali all’idea di ambiente digitale. La definizione di “ambiente digitale” la sentiamo più coerente ad un’idea di mente interconnessa e alla dimensione socio-costruttiva dell’apprendimento.

Gli ambienti digitali mettono fortemente in discussione le modalità di insegnamento a favore dell’apprendimento come processo di ricerca attivo. I contesti che ibridano tecnologie e linguaggi rovesciano le gerarchie tra adulti/insegnanti e bambini/apprendenti. Questo rovesciamento di visione trova la sua cornice epistemologica nel pensiero ecologico, concepisce qualunque cosa come parte di un contesto più ampio e invita a comprendere le innumerevoli interrelazioni fra accadimenti solo apparentemente distinti. Una concezione che chiede di rivedere le posizioni intersoggettive in un’ottica dinamica, interdipendente, reciproca, una tensione alla ricerca, in cui sia i bambini che gli adulti sono i primi ricercatori dei fenomeni, dei soggetti, delle esperienze che si scelgono come oggetto di studio.

 

Fig. 1 Mostra-atelier Paesaggi digitali al Centro Internazionale Loris Malaguzzi, Reggio Emilia

© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

 

Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia comunali di Reggio Emilia la tecnologia digitale entra nel quotidiano, ibridandosi con gli altri linguaggi, per costruire un ambiente non prettamente strumentale e funzionalista. I contesti di apprendimento, all’interno di questi ambienti, si fanno “inventivi” per tutti, si presentano come situazioni di “trafficamento” di pensieri e di azioni, contesti di ricerca solidali ed empatici tra bambini e adulti.

I bambini nascono sbilanciati verso gli altri e verso il mondo, con una postura curiosa che intreccia pensieri onirici con visioni contestualizzate e contingenti. Vivono in una dimensione capace di far convivere immaginazione e concretezza con argomentazioni poetiche e inattese per gli adulti, dando forma a rappresentazioni mentali inedite.

Seguiamo una breve conversazione fra tre bambini di 8 anni, alla Scuola dell’infanzia e Scuola Primaria presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi, intorno al tema del sogno:

 

“I sogni… è un mondo che si crea la mente… dentro la testa c’è un altro mondo che noi non conosciamo. Quando sogno sembro la persona che sto sognando, sembra di essere nel mondo circostante, penso di essere nella realtà ma sono nella finzione. Lì le sensazioni le sente il mio avatar”. Kevin

“È il tuo clone. Perché uno vive nel mondo davvero e uno vive nei sogni”. Hansel

“Lì sente le sensazioni il mio personaggio e le sento io perché si creano nell’aria. Anche se uno sogna un sogno uguale al mio, non riesce a sentire quella sensazione. Il mio avatar me lo sono creato mentre dormo… è una femmina, perché mi piacerebbe sentire le sensazioni di essere una femmina. Posso diventare anche io, però non è originale, cioè io non mi sento di essere nel mio sogno uguale a me”. Kevin

“Al massimo io mi posso immaginare che divento più grande e divento adulto, però non ci riesco a pensare che divento una femmina, proprio non ci riesco”. Samuele

 

I bambini sono desiderosi di dare forma ai loro “sogni”, individuano forme narrative plurilinguistiche, cercano forme che “inaugurano nuovi ambienti di socializzazione e condivisione in cui il ‘mentale’ di ogni bambino – che comprende gli stimoli esterni e le rappresentazioni interne, cognitivo ed emotivo allo stesso tempo – trova una possibilità espressiva e comunicativa”.

Simona Bonilauri e Maddalena Tedeschi in Sconfinamenti. Incontri con soggetti viventi / Paesaggi digitali (a cura di Vecchi V., Bonilauri S., Meninno I., Tedeschi M.), Reggio Children, Reggio Emilia, 2019, p. 14.

 

Inventano set teatrali, videogiochi, simulazioni attraverso diversi software o applicazioni utilizzabili anche con gli smartphone o i tablet. Gli ambienti digitali si fanno così particolarmente vicini agli immaginari dei bambini. Le condizioni intrinseche degli ambienti digitali, i device in relazione gli uni con gli altri, in dialogo tra loro, propongono una visione di ambiente al plurale, ovvero, un ambiente dato da più contesti connessi tra loro.

Una sorta di pluri-ambiente dove potenti sono le connessioni tra le parti.

Possiamo intendere questo come un concept su cui costruire ipotesi progettuali, in cui anche il nomadismo dei device entra in dialogo con i contesti ambientali, connotando questi ultimi come luoghi dinamici, in cui oggetti, materie e materiali, abitano più spazi della scuola, come le sezioni, le classi, i miniatelier e gli atelier, le piazze, i parchi, le cucine, dando vita a un sistema plurimo di opportunità comunicative, interpretative e conoscitive per i gruppi di apprendimento.

 

“Sosteniamo che tutti i linguaggi di vita dei bambini nascono con loro […]. Più linguaggi riconosciamo ai bambini, più li aiutiamo ad agire e individuare i modelli metodologici che occorrono per affrontare gli eventi […].

L’immaginazione e la logica, come la socializzazione, il sentimento, la creatività e l’estetica hanno cento radici e cento genesi”.
Loris Malaguzzi in Malaguzzi L. et al., I cento linguaggi dei bambini, catalogo della mostra, Reggio Children, Reggio Emilia, 1996, pp.25-26.

 

L’approccio aperto della ricerca con gli strumenti digitali ha portato i bambini a interagire con libertà, progettando device personalizzati e inediti, cercando forme e significati adeguati, funzionali e coerenti. Le loro ricerche sono sempre vicine alla concretezza della contingenza che vivono. Non separano il loro immaginario dal mondo fisico e contiguo, sconfinano tra l’uno e l’altro. Gli ambienti digitali concorrono alla definizione di contesti di apprendimento che si qualificano come interfacce dove l’estetica, la funzionalità e la ricerca di significato sono contemporanei.

 

Bressy e Gennaro nel 2013 hanno 8 anni e con Francesca (atelierista) immaginano la possibilità di progettare un tablet trasparente che chiamano Infinity. Abbiamo proposto loro di elaborare un prototipo con i materiali a disposizione:

 

“Quali caratteristiche ha Infinity”? Francesca (atelierista)

Infinity è un tablet trasparente. Per prima cosa si può piegare perché se hai la pochette lo pieghi e te lo porti dietro”. Bressy

“Si può usare in due e giocare a battaglia navale o a dama”. Gennaro

“Puoi fare una foto a un fiore, attraverso la foto cercare delle informazioni. Te lo fa anche uscire in 3D”. Bressy

 

Il ragionamento proposto dai bambini nel 2013 trova solo negli ultimi anni una realizzazione delle loro intuizioni creative: Bressy ha anticipato la creazione di smartphone trasparenti, flessibili, pieghevoli; il contatto sul device per condividere un gioco, ad esempio toccando in due lo stesso schermo per lo svolgimento di games, come propone Gennaro; o anche applicazioni che arricchiscono il desiderio di cercare, di raccogliere informazioni su un soggetto, come di nuovo Bressy ci ha proposto.

La conoscenza si struttura nella sua processualità a condizione che sia esperienza e riflessività insieme, in una dinamica ricorsiva ed evolutiva. È condizione necessaria soffermarsi sulle esperienze, creare ragionamento, abitare luoghi di confronto e di scambio di punti di vista affinché la conoscenza possa alimentarsi. Inoltre assume un particolare rilievo vivere quotidianamente situazioni di apprendimento dinamico, dove le strutture di pensiero si modificano, si espandono, si mettono “naturalmente” in gioco.

I bambini, infatti, sono dei ricercatori di significati predisposti biologicamente al comprendere il mondo che abitano. Nel digitale di ultima generazione si è sviluppata moltissimo la tecnologia touch; una tecnologia che rimette in gioco il tema del corpo e del contatto diretto. È molto frequente vedere bambini, anche piccolissimi, utilizzare oggetti e materiali informali come se fossero device; i gesti che compiono e le funzioni che attribuiscono loro ci suggeriscono una sorta di fusione tra corpi, il corpo del bambino e il “corpo” dello strumento. Il bambino si fa portatore del sapere del proprio corpo e crea una rappresentazione mentale includente le funzioni e le potenzialità della tecnologia digitale.

 

 

2. Corpo/mente nella tecnologia artigiana

È il corpo il fulcro di questo processo, che ci tiene in risonanza con il mondo, senza mai separare cognitivo ed emotivo; un corpo che significa e dà significato, elabora metafore, comunica oltre la nostra percezione. Nel corpo risiede quella integrità, quel senso di presenza a se stessi e nel mondo fondamentali per la costruzione della propria identità, soggettiva e sociale. Un corpo che è sguardo, è voce, è un dito che indica, che costruisce domande fatte anche di gesti, di movimenti, di ritmo, di energia. Domande che ci parlano di come i bambini stanno costruendo i loro dialoghi con il mondo.

Il corpo ha una sua memoria (percettiva, visiva, simbolica, narrativa, evocativa...) che è costantemente in osmosi con il mondo circostante. Il lasciar traccia, rivedersi, annotare con il corpo, sono alcuni esempi di strategie con cui i bambini danno forma alla loro identità; ad esempio, indagare intorno al profilo di un volto significa mettere in campo esperienze spaziali, punti di vista, relazione tra bidimensionale/tridimensionale, attingendo dalle proprie esperienze quotidiane in cui i bambini si imitano, si osservano, si prestano gesti, domande, teorie, amplificando la sensibilità comunicativa tra di loro, mischiando linguaggi ed esperienze che si condensano facendosi talvolta segno.

In questo senso lo spazio è sempre anche una dimensione sociale e relazionale. Le recenti ricerche sui neuroni specchio ci testimoniano come la relazione tra il corpo, lo spazio, il movimento e il tempo sia determinante per le competenze sociali, per la costruzione della propria identità, sincronizzandosi con il mondo tutto. Ci dicono inoltre che il nostro cervello codifica lo spazio anche in termini motori.

Come le tecnologie digitali e in particolare le interfacce possono espandere, problematizzare, variare questi processi fondamentali per la costruzione del sé? Quali contesti progettare per dare forza a questa visione integrata tra un corpo che apprende e la costruzione di segni, gesti e tracce negli ambienti digitali?

Le interfacce digitali, interattive o meno, nella vita quotidiana dei bambini e di ogni essere umano modificano la percezione spazio/tempo e, rispetto a queste categorie percettive, psicologiche e filosofiche, oggi ormai è consolidato che non vi può essere dicotomia tra reale e virtuale, in quanto l’emozione che si prova è sempre e comunque reale. De Kerckhove, con la costruzione del concetto di tecnologia della connettività, inaugura un nuovo paradigma del digitale. Un concetto che potenzia due elementi fondamentali: la connettività ed il contatto.

 

In una esperienza, intitolata “Incontri con il proprio doppio”, nella sezione dei bambini piccoli (9-18 mesi a settembre) presso il Nido comunale d’infanzia Gianni Rodari, all’interno di un contesto progettato da insegnanti, atelierista e pedagogista abbiamo collocato una videocamera connessa a un videoproiettore che, in diretta, riprendeva i bambini giocare e lo spazio, proiettando l’immagine in grande su un telo a parete. I bambini da subito hanno prestato attenzione a ciò che stava accadendo, sorpresi nel vedere la proiezione: Flavio, 24 mesi, osserva a lungo le immagini, ponendosi poi di fronte alla sua immagine proiettata, dice: “Sono io… io tutto”. Successivamente si cerca dietro al telo e riguardando la propria immagine esclama: “Sono io davvero”; poi, salendo su una piccola piattaforma di legno, collocata intenzionalmente di fronte alla proiezione, come fosse un palcoscenico, inizia una sorta di danza muovendo tutto il corpo. Dopo un attento studio dei diversi movimenti afferma: “Ma sono io… sono vero o finto?... Sono vivo!”.

Questa riflessione che ci ha regalato Flavio è molto interessante, in quanto ci suggerisce come lui non rimanga imbrigliato nella ricerca di una risposta univoca ma come, al contrario, rilanci i suoi pensieri verso una nuova definizione di sé, nel contesto. Flavio riconosce se stesso in un ambiente connesso, dove la sua identità si fa doppia ed in un continuum dove non c’è il vero o il finto, ma la dinamica vitale del contesto che accoglie l’esperienza. I contesti si fanno così più nomadi: vedo me stesso doppio, gli amici ed anche lo spazio, ricreo uno spazio connesso, un universo fantastico, che evoca atmosfere oniriche.

 

Recentemente, nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, abbiamo lavorato su un approfondimento “Risonanze: ascolti, produzioni, composizioni” che ha ricercato le condizioni che consentono una dimensione quotidiana dei linguaggi della musica e della danza, in un approccio educativo che mette al centro del proprio curricolo la trasversalità tra i linguaggi. La danza e la musica, oltre ad avere il corpo come matrice comune, sono caratterizzati anche per la medesima natura performativa e fenomenica; condividono con gli altri linguaggi differenti e complesse dimensioni (emotiva, rappresentativa, simbolica, poetica, dialogica, antropologica ecc.) ed hanno in comune la dimensione spazio/tempo che vincola inevitabilmente la progettazione delle didattiche e dei contesti.

Un gruppo di bambine e bambini di 4 anni della Scuola comunale dell’infanzia Michelangelo stava ricercando intorno a una figura/archetipo, il ponte; una figura che, da postura statica, nelle ricerche dei bambini è diventata dinamica e parte di una coreografia costruita attraverso diversi movimenti in dialogo tra loro, grazie alla possibilità di mettersi d’accordo con il corpo, senza le parole.

Sappiamo che le tecnologie e gli strumenti digitali sono anche strutture di pensiero e percezione, in quanto si entra in relazione con i processi di digitalizzazione. Tutti i giorni i bambini incontrano film realizzati in digitale, cartoni di animazione tridimensionale, composizioni sonore o anche illustrazioni/pubblicità su carta realizzate in digitale e telefoni multifunzione: sono prodotti di una trans-codifica in dati informatici e ciò incide sull’identità dei media e sull’approccio di chi li utilizza. I bambini sono immersi in questi processi e l’interattività è una struttura di relazione anche nelle vite quotidiane. Questi codici linguistici sono familiari ai bambini, che ne intuiscono le strutture ma non le padroneggiano. L’intento educativo, attraverso le tecnologie analogiche e digitali, è quello di tendere a rendere i bambini consapevoli delle formalizzazioni di questi linguaggi, di entrare nei sistemi simbolici-culturali di queste strutture comunicative per coglierne le semantiche.

In musica e danza è particolarmente significativo potersi vedere, rivedere, ascoltare e riascoltare con tempi e modi differenti. Anche la documentazione si connota dunque per questa tensione a rivedersi, riascoltarsi, a fare eco delle consapevolezze che si stanno generando, dei significati condivisi, e tiene conto dei tempi dell’apprendere con questi linguaggi.

In queste esperienze si è ipotizzato che il video potesse essere lo strumento principale per la documentazione, in quanto capace di trattenere la dimensione temporale della performance nel suo svolgersi, contemporaneamente connesso al gesto e al suono. Il video è stato uno strumento utile sia per documentare i bambini nell’azione performativa sia per narrare i bambini che partecipavano ascoltando, mettendo in evidenza come il corpo tutto è teso ad un ascolto che è movimento e stasi insieme.

Ogni rappresentazione è quindi una sorta di unicum e il linguaggio video ha permesso di tenere traccia del movimento e del suono. Considerando queste specificità, l’opportunità di utilizzare software di elaborazione video ha generato nuove possibilità riflessive, rappresentative, compositive, tra analogico e digitale, sia per i bambini che per gli adulti. Attraverso il software, che è un sistema di editing non lineare, i bambini hanno agito una sorta di transcodifica in digitale dell’esperienza. La “Danza dei ponti” dei bambini della Scuola dell’infanzia Michelangelo è stata così rivista in un piccolo gruppo; sono stati scelti alcuni frame interessanti che hanno fatto discutere i bambini:

 

“Rivedersi serve a vedere quanta vibrazione c’era nel mio corpo, quanto sono forte!” Alex

“Ti fa ripensare come ballavi. Serve per imparare delle cose nuove, dei balli da tutti”. Luca

“Serve a fare meglio le danze e ricordarsi cosa ha fatto il mio amico”. Giulia

“Serve anche a immaginare un’altra danza”. Kristel

 

Nel rivedere la loro danza attraverso il linguaggio video e nel discutere insieme dell’esperienza che stavano realizzando, i bambini sono diventati sempre più consapevoli di quello che stavano imparando con il corpo, entrando sempre più nel lessico del gesto e della danza, agendo una sorta di metalettura dell’esperienza.

 

“Più danziamo, più ci stanchiamo e più impariamo”. Filippo

“Impariamo l’energia, la impariamo dentro al corpo”. Incoronata

“L’energia crea la forza”. Martina

“La forza crea l’energia”. Incoronata

 

Queste riflessioni ci dicono dell’importanza di rivedersi, ma anche di poter de-costruire per poter poi aprire nuovi scenari immaginativi. Questi software, ormai onnipresenti, nelle mani dei bambini potenziano le connessioni e quindi gli apprendimenti. Ad esempio, poter estrapolare un fermo immagine, ricomporlo con altri, duplicarli, significa agire anche sull’esperienza concreta. In questo senso il digitale è una sorta di altro stato della materia in quanto converte informazioni di ogni natura: un gesto, una contrazione muscolare può tradursi in immagine (o in suono) mutandone la natura stessa.

Potersi rivedere nel video significa poter rivedere i flussi di movimento e quindi pensare a come variarli; si possono analizzare i movimenti, fissare idee di movimento, dinamiche, rendendo visibile il processo cinestetico e compositivo nello spostamento dei vari frame di immagini. In qualche modo poter fermare il tempo tramite questi software, poter fissare il movimento in una immagine o in una sequenza di immagini inedita, ci ha permesso di lavorare con i bambini sulla relazione tra improvvisazione e formalizzazione attraverso la convenzione di codici di movimento condivisi, anticamera della progettazione di una coreografia. Un gesto improvvisato, rivisto dai bambini, può essere formalizzato, codificato, generando nuove possibilità di muoversi nello spazio e nel tempo.

La dimensione spazio/tempo trova ambiti di riflessioni trasversali rispetto agli apprendimenti, ed è un punto cruciale se pensiamo a come questa dimensione si modifica in relazione alle interfacce digitali. Sono processi complessi che passano attraverso l’offerta di contesti educativi quotidiani, capaci di sostenere e far avanzare le competenze dei bambini. Più si conosce la tecnica di un linguaggio, più se ne scopre il potenziale espressivo, e così è stato per i bambini: la proiezione in grande del nuovo montaggio video, da loro realizzato, ha generato nuovi e differenti flussi di movimento nello spazio, densi anche dell’esperienza riflessiva e compositiva avvenuta attraverso il processo di post-produzione. Potersi muovere, danzare nello spazio in relazione al video realizzato da loro stessi e i cui protagonisti sono loro medesimi significa agire una interazione multipla, con gli amici presenti e con la proiezione della danza ricomposta nel gruppo stesso, amplificando così possibilità, immaginari, sensi, in una intercorporeità che intreccia analogico e digitale.

Le tecnologie digitali in relazione al corpo amplificano quindi la natura multimodale dei linguaggi performativi come la musica e la danza, oggi più che mai se pensiamo che gli ambienti in cui i bambini sono immersi si connotano di un continuum di superfici comunicative ed interattive, di scambio e comunicazione.

Le tecnologie digitali hanno portato in questo spazio aumentato nuove possibilità rispetto alle relazioni tra corpo, spazio, gesto, movimento e materia. Sempre all’interno della Scuola dell’infanzia Michelangelo, stoffe e corde amplificano il gesto, allungano il tempo tra permanente e impermanente, tra reale e immaginato.

 

Fig. 2 – Dialoghi tra materia, spazio, corpo e movimento - Scuola comunale dell’infanzia Michelangelo, Reggio Emilia. Dalla ricerca “Risonanze: ascolti, produzioni, composizioni.

© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

 

I corpi diventano un tutt’uno con la materia, la cui identità incide sulla qualità del movimento. Se dei rotori di cartone suggeriscono prove di equilibrio e di forza, cosa suggerisce una grande carta leggera stropicciata? Come cambia il movimento e come cambia il pensiero, l’immaginario?

 

“Filippo sta facendo svolazzare i velluti. I movimenti sembrano tutto il vento che spazza via, sembra la pioggia…” Carlotta

“Con i materiali cambia il modo di ballare”. Sarah

“Muovi i velluti e muovi te…” Matteo

 

Il materiale è capace di evocare movimenti. Nello svolgersi delle ricerche quotidiane all’interno della scuola dell’infanzia, anche la fotografia digitale ha assunto un ruolo importante nella rielaborazione dell’esperienza. La fotografia digitale diventa infatti un elemento espressivo, vivo, serve nel contesto per fare memoria, ma anche per reinterpretare e ragionare sulla forma della materia:

 

“Stavo facendo una tempesta… su, su, su… forte, forte, forte!” Giacomo

“Piccolo suono che, se lo giri, fa un vento”. David

 

Fotografare le forme del corpo è difficilissimo, perché è tutto molto veloce, ma è una sfida interessante che i bambini colgono con entusiasmo e consapevolezza:

 

“Ho fatto tante foto perché alcune erano senza Giacomo, era sparito!” Christian

“Sembra che rotola!” David

“Rotolando, è sparito”. Christian

“Le foto che facciamo, sono ferme, non si muovono mai, non si cambiano mai e quindi [la forma] rimane come l’abbiamo fatta”. Giacomo

 

Le immagini riviste hanno un potere evocativo. La possibilità di scegliere gli scatti, moltiplicarli tramite software di elaborazione delle immagini, reinterpretarli con il movimento genera nuove possibilità tra ambivalenza materica e amplificazione sensoriale.

I bambini sembrano dare particolare attenzione proprio alle immagini sfuocate, dove il gesto sembra allungarsi, sembra in movimento. Cercano così di realizzare scatti sfocati in cui, rivisto, il gesto dell’amico prende più forza, più energia. In questo senso la fotografia (digitale e non) e la possibilità per i bambini di moltiplicarla, di modificarla in post-produzione al computer per amplificare le qualità del movimento, ridefinisce i paradigmi estetici sia del gesto che dell’immagine.

 

 

3. Le piattaforme come metafora del processo di apprendimento

Occorre focalizzare un punto di vista sulle piattaforme che, lontano dalla visione funzionalistica per cui sono state utilizzate, le interpreti come possibile metafora del processo di apprendimento e di conoscenza dell’essere umano: in questo senso, si potrebbe pensare alle piattaforme come a luoghi in cui le conoscenze non solo si depositano o si trovano, ma si connettono, sconfinano, creano link secondo codici interazionali nuovi, si stratificano, si strutturano e si destrutturano. Luoghi in cui le conoscenze prendono forma e forme, facendo ricorso a più codici espressivi. Possiamo interpretarle come quindi possibili interfacce conoscitive, che sostengono i processi di strutturazione/destrutturazione delle conoscenze, costruendo e decostruendo, nel corso del tempo, mappe conoscitive soggettive e di gruppo.

Sappiamo quanto anche i più piccoli siano molto prossimali a interfacce digitali che presuppongono interattività: di fronte alle tecnologie i bambini si attendono di poter agire (e agirle) in una sorta di reciproco scambio. Crediamo che dentro questa consapevolezza, il ruolo dell’adulto sia quello di sostare nelle domande, di non arrestarsi di fronte ad azioni già note, ma di alimentare una dimensione problematizzante, che non chiuda al funzionalismo, ma che apra alla ricchezza delle possibilità.

I bambini che incontriamo nel nido e nella scuola dell’infanzia non conoscono i codici convenzionali, ma sono attratti dal quel mondo: di fronte a un panorama visivo nel quale sono immersi, molto ricco di immagini, si domandano che cosa significhi quel particolare simbolo, fanno ipotesi, si confrontano, provano; i pensieri rincorrono le evocazioni visive, le somiglianze e le differenze, i saperi già noti generati dalle esperienze soggettive, fino a elaborare metafore e nuovi codici comunicativi, da condividere con gli altri. Ecco allora che incontrare una piattaforma di comunicazione chiede ai bambini, dapprima, di interpretare i suoi codici, i suoi simboli, i pieni e i vuoti: l’interfaccia è un volto da scoprire e conoscere, che accoglie domande, ipotesi e anche prime letture e significazioni. I bambini sono immersi sin dalla loro nascita nel sistema simbolico culturale del tempo in cui vivono, cercano di interpretarlo e di esserne parte corrispondendolo. Questo setting ambientale è fondamentale per il loro apprendimento e al contempo diventa materia da interpretare e da manipolare per essere protagonisti delle relazioni che abitano. I bambini oggi sono confidenti con questa comunicazione, nascono in questi usi e ne cercano delle ragioni. Abitare con loro questi contesti comunicativi consente ai bambini di sviluppare un atteggiamento consapevole, riflessivo e creativo. L’intento della conversazione tra bambini e adulti, nella progettazione della scuola, desidera andare oltre l’esperienza del contingente per ricercare assieme usi artigiani e inconsueti proposti dagli strumenti.

 

Ora entriamo nella sezione dei bambini di cinque anni della Scuola dell’infanzia presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi, per indagare la piattaforma Classroom.

L’interfaccia di Classroom, utilizzata sia in presenza in sezione che come strumento di comunicazione tra casa e scuola, ha sollecitato i bambini a formulare ipotesi relative al significato e alle funzioni dei suoi codici comunicativi; inoltre, si intercetta nei dialoghi dei bambini un lessico che riflette la specificità del contesto, un lessico cioè pertinente e proprio, che afferisce alla tecnologia digitale.

Come ad esempio per l’icona delle cuffie, su cui Lorenzo dice: “Questo simbolo serve perché, se lo clicchi, ci vengono dei rumori...”. O per interpretare tutte le parole che ancora non si ha la competenza di poter decifrare, ma di cui si intuisce che di “nomi di persone” si tratta, per la posizione che assumono nell’interfaccia e/o per il simbolo sintetico che evoca una figura umana:

 

“Tutte quelle scritte sono i nomi di tutte le persone...” Tommaso

“Si possono chiamare nel telefono”. Chiara B.

“Si possono mandare dei messaggi e fare delle videochiamate”. Tommaso

 

O ancora, riferendosi al triangolo in direzione di uscita, i bambini mostrano di sapere che il significato attiene al movimento, al flusso dei contenuti (disegni, scritture…) in uscita.

 

“Quello è un aereo di carta!” Zlata

“Serve per scrivere e poi premi il foglio di carta e lo mandi”. Chiara M.

“Forse serve anche per fare dei disegni e poi mandarli…” Aurora

 

In questa cornice di riferimento possiamo interpretare e considerare le piattaforme comunicative come ambienti comunitari, in dialogo e connessione con le esperienze di apprendimento e scoperta dei bambini. Luoghi che agiscono in più dimensioni spazio-temporali, non necessariamente al fine di colmare i (presunti) vuoti dell’assenza di relazione e di incontro

Abbiamo provato ad abitare questi nuovi ambienti progettandoli all’interno dei contesti quotidiani della scuola dell’infanzia, agiti da bambini e adulti in presenza, come uno tra i tanti e diversi luoghi dell’incontro.

Agire questi luoghi significa per noi metterli in dialogo con accadimenti che per i bambini e le bambine sappiamo essere importanti e significativi, come ad esempio un compleanno. In occasione del compleanno di Pietro, infatti, abbiamo scelto di rilanciare un indovinello in piattaforma, che chiedesse al festeggiato di indovinare, appunto, l’autore delle tante grafiche realizzate per lui (fig. 3). Disegni come doni, che diventano anche uno spunto per dare valore alla relazione e alle amicizie tra i bambini che hanno vissuto tre anni insieme.

 

Fig. 3 – Screenshot di Classroom - Sezione 5 anni

© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

 

Un approccio educativo che mette in valore la molteplicità dei linguaggi di comunicazione, di relazione e di espressione, propone un atteggiamento che favorisce l’incontro con un sistema linguistico ricco, in cui i codici sono rappresentati dalle parole, dalle immagini, dai suoni, dalle produzioni audio e video.

Vorremmo interpretare le piattaforme comunicative, quindi, come ambienti di plurimo accesso, in cui più codici concorrono e favoriscono la partecipazione di molti. Crediamo sia quindi indispensabile porci nei confronti della tecnologia che nasce a sostegno della comunicazione con un atteggiamento di reciproco ascolto, per ricercare e predisporre contesti capaci di favorire processi comunicativi che appartengono per natura all’essere umano. Processi che si fondano su plurime competenze: codifica e decodifica, formalizzazione, interpretazione, attribuzione di significati condivisi, selezione delle informazioni, riorganizzazione dei contenuti, connessioni tra contenuti, multimedialità.

Processi che variano da soggetto a soggetto, anche in relazione alle età dei bambini.

Abbiamo praticato piccole esperienze in cui, per agire questa possibilità, si è dato molto valore a ciò che i bambini conoscono, sanno, incontrano nelle esperienze quotidiane della scuola e della casa: rumori e suoni, dettagli di oggetti e materiali, punti di vista sugli spazi interni e sul parco, voci… hanno assunto l’identità di materie vive, plurisensoriali che, all’interno di un nuovo ambiente di comunicazione, hanno creato riferimenti comuni, fondamentali per lo scambio e l’interattività tra i bambini.

I bambini si sentono ingaggiati, sentono che quello può essere un luogo anche per divertirsi: Anahi, da casa, registra il suono del suo gatto mentre fa le fusa e lo condivide su Classroom. L’invito è che gli amici provino a immaginare a cosa o a chi possa corrispondere quel suono (fig. 4): ascolto, immaginazione, evocazione sono processi che i bambini mettono in atto per stare al gioco.

 

Fig. 4 – Screenshot di Classroom - Sezione 4 anni

© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

 

Ma c’è forse di più: i bambini e le bambine in queste occasioni di esplorazione in contesti multimediali agiscono quello che gli studiosi chiamano “transliteracy”, cioè la capacità di leggere, scrivere, interagire attraverso una gamma di piattaforme/canali, strumenti e media: noi potremmo metaforicamente estendere il concetto, se pensiamo ai tanti modi con cui i bambini “leggono, scrivono e interagiscono”, pur senza l’abilità specifica della letto-scrittura, le esperienze che vivono.

Questi sintetici esempi, pillole in prova, ci narrano di come questi ambienti potenzialmente chiedano ai bambini e agli adulti di agire un pensiero progettuale e previsionale; di implementare processi del conoscere come la simulazione, l’associazione, la memorizzazione; di allenare la capacità di gestione delle informazioni e la loro organizzazione.

II digitale ha facilitato l’accesso alle informazioni, sotto forma di differenti formati rappresentazionali: immagini, video, podcast, audio sono alla portata di tutti, con una sempre più crescente facilitazione alla trasformazione di tali formati da parte del soggetto. Tuttavia queste possibilità possono creare il rischio di vivere dimensioni moltiplicatorie delle informazioni, una sorta di eccesso comunicativo che si trasforma in un “rumore di informazioni”; al contrario si dovrebbe procedere nel fare progettuale della scuola per sintesi progressive, capaci di elaborare strutture di ragionamento e di essenzialità.

Le condizioni dello studio oggi consentono creazioni di archivi multimediali che contemplano la costruzione di significati soggettivi e nel gruppo, archivi correnti, dati da fonti materiche plurime: fotografie, disegni, tracce audio, video… che facilitano la creazione di narrazioni aperte e possibili. Le logiche connettive che tengono legate le fonti, gli elaborati dei bambini e degli adulti possono essere di natura differente a seconda del significato e dell’obiettivo che si desidera raggiungere, tuttavia dovrebbero essere loro stesse motori di ricerca aperti, con il vincolo di aiutare a costruire nei bambini competenze a scegliere, a selezionare e a organizzare le informazioni secondo intenzionalità differenti.

È stato allo stesso tempo importante per noi mantenere in forte dialogo l’esplorazione dei contesti e la riflessione sugli apprendimenti, evitando quell’eccesso di astrazione che rischia di inficiare lo scambio proficuo tra immaginazione e percezione del reale.

 

Fig. 5 – Screenshot di Classroom - Sezione 5 anni

© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

 

 

Questa esperienza ironica, dove gli adulti della scuola hanno creato un invito (fig. 5) ai bambini per motivarli a ritornare a scuola dopo il periodo di chiusura per la pandemia, desidera sottolineare un uso delle tecnologie digitali come vicine ai bambini, vicine ai loro vissuti, mai imposte o distanti.

Questo ragionamento ne apre un altro molto complesso e profondo: pensiamo che i mondi simulati in queste esperienze debbano essere coerenti con una visione etica delle situazioni, coerenti con il progetto educativo.

Le simulazioni e i giochi proposti negli ambienti digitali necessitano della medesima responsabilità e visione dello stare all’interno degli ambienti di vita quotidiana, consapevoli che ogni gesto o pensiero prodotto ha conseguenze reali.

 

 

 

© Italian e-Learning Association (SIe-L)

Reggio Emilia Approach

Il Reggio Emilia Approach® è una filosofia educativa fondata sull’immagine di un bambino con forti potenzialità di sviluppo e soggetto di diritti, che apprende attraverso i cento linguaggi appartenenti a tutti gli esseri umani e che cresce nella relazione con gli altri.

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